Il movimento dadaista nasce a Zurigo nel 1916 durante la prima guerra mondiale con la fondazione del caffè letterario Cabaret Voltaire, in un periodo in cui nella città pullulano rifugiati, disertori, antimilitaristi, critici e artisti di varia provenienza e rivoluzionari. I protagonisti principali del movimento sono il poeta Tristan Tzara, il pittore Janco (entrambi rumeni), lo scultore e pittore Arp, alsaziano, lo scrittore e filosofo Hugo Ball, tedesco, i francesi Picabia e Duchamp che entrano a far parte del gruppo zurighese nel 1918 quando viene pubblicato il manifesto programmatico del dadaismo. Al Cabaret Voltaire alcuni di questi artisti sono protagonisti di serate dedicate all'arte russa e francese, a canzoni, danze, poemi simultanei, musiche negre. Tra le avanguardie storiche del primo Novecento il dadaismo è quello che a più breve vita, però il suo grande valore è quello di aver scardinato con la provocazione norme e valori tradizionali e aver preparato il terreno per altre esperienze, quali per esempio il surrealismo. E' infatti dal gruppo, Breton, Eluard, Aragon, che gravitava intorno la rivista Littèrature e che aveva collaborato con Tzara, nasce il Surrealismo. Da questo momento in poi l'esperienza dadaista si può ritenere conclusa.
I "canoni" del dadaismo sono:
1) L'importanza data al gioco, alla combinazione casuale, di parole e oggetti, al non senso (pare che il nome dada fu scelto per caso infilando un taglia carta in un dizionario tedesco-francese e prendendo la prima parola della pagina "dada", il quale significa un balbettio infantile senza senso che serve ad indicare qualsiasi oggetto). La conseguenza è una svalutazione dell'attività artistica.
2) I dadaisti cercano di portare alla luce la contraddizione dell'arte all'interno della società capitalistica (il processo di mercificazione cui l'arte è sottoposta). Gli atti provocatori di Duchamp che presenta la merce come un opera d'arte (esempi sono il "Portabottiglie" del 1915 o "La Ruota di bicicletta" esposta in una mostra d'arte nel 1913) o presenta il gratuito e il non senso come attività artistica (Duchamp dipinge dei baffi sulla Gioconda e firma il quadro come opera sua e Picabia tenta di legare una scimmia viva dentro una cornice vuota e poi esporla in una mostra collettiva), sono un esempio lampante della poetica dadaista. In una pagina dello scrittore Mario de Micheli è spiegato chiaramente il valore storico-culturale e politico della poetica dadaista.
"Anti-artistìco, antiletterario, antipoetico è dunque Dada. La sua volontà di distruzione ha un bersaglio preciso, che è in parte lo stesso bersaglio dell'espressionismo; ma i suoi mezzi sono ben più radicali. Dada è contro la bellezza eterna, contro le leggi della logica, contro l'immobilità del pensiero, contro la purezza dei concetti astratti, contro l'universale in genere. Esso è invece per la sfrenata libertà dell'individuo, per la spontaneità, per ciò che è immediato, attuale, aleatorio, per la cronaca contro l'atemporalità, per ciò che è spurio contro ciò che è puro, per la contraddizione, per il no dove gli altri dicono sì e per il sì dove gli altri dicono no, è per l'anarchia contro l'ordine, per l'imperfezione contro la perfezione. Quindi, nel suo rigore negativo è anche contro il modernismo, contro cioè l'espressionismo, il cubismo, il futurismo, l'astrattismo, reputandoli in ultima analisi dei surrogati di quanto è andato o sta per andare distrutto, cioè dei nuovi punti di cristallizzazione dello spirito, il quale mai deve essere imprigionato nella camicia di forza di una regola, sia pure nuova e diversa, ma sempre deve essere libero, disponibile, sciolto dal continuo movimento di se stesso nella continua invenzione della propria esistenza. Nessuna schiavitù, neppure la schiavitù di Dada su Dada. In ogni momento, per vivere, Dada deve distruggere Dada. Non esiste una libertà fissata per sempre, ma un incessante dinamismo della libertà, in cui essa vive negando continuamente se stessa. Il dadaismo è quindi non tanto una tendenza artistico-letteraria, quanto una particolare disposizione dello spirito, è l'atto estremo dell'antidogmatismo, che si serve di qualsiasi mezzo per condurre la sua battaglia. Il gesto quindi più che l'opera interessa Dada; e il gesto può essere compiuto in qualsiasi direzione del costume, della politica, dell'arte, dei rapporti. Una sola cosa importa: che tale gesto sia sempre una provocazione contro il cosiddetto buon senso, contro la morale, contro le regole, contro la legge; quindi lo scandalo è lo strumento preferito dai dadaisti per esprimersi. Da questo punto di vista il dadaismo va anche oltre il significato o la semplice nozione di movimento per diventare un modo di vita. Il senso della sua aspra polemica contro l'Arte e la Letteratura con la maiuscola dev'essere visto proprio nel fatto che in esse, ipocritamente tese a cogliere "i valori eterni dello spirito" la vita era stata abolita, segregata. Dada era invece il desiderio acuto di trasformare in azione la poesia. Era insomma il tentativo più esasperato di saldare la frattura tra arte e vita, di cui Van Gogh e Rimbaud avevano dato il primo drammatico annuncio. Molti elementi posticci ed esteriori si mescolarono sin da principio, ma non c'è dubbio che tale è il suo significato più vero".
[M. De Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento, Feltrinelli, Milano 1971, pp.156-157]
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