«Questo vuole il tuo tempo, perchè non gli vai
incontro?»
rimugina senza ironia apparente costui
non molto lontano dal
pensare
a un'anima nuova di zecca pronta per il cambio.
«Devoti sempre,
devoti a qualcosa; e quando
non si crede più a niente devoti al nostro
tempo»
gli risponde qualcuno, forse io,
forse lo stesso onnipresente
automa
toccato da altra mano, in altro pulsante.
Né lui vede un amico
d'altri tempi
in me che lo giudico e lo guardo
ugualmente estraneo, in
questo vestibolo d'albergo,
ma un'incognita appena appena umana,
un volto
forse, ma contaminato da un morbo.
«Neppure la natura è eterna» ricomincia
ascoltando la sua
[ voce
che infatti prende quota nella
penombra,
grave, con volo per un attimo di condor.
«Ma eterno è il suo
mutamento»
gli dico io poco smanioso invero
d'afferrare quel filo troppo
logoro
passato per la cruna della sua mente.
«Colpisci, colpisci a
bruciapelo l'istante»
ammonisce affondato nel suo peso
quell'uomo che mi
parla
quasi fossimo a due diverse altezze,
lui dove soffia lo spirito e io
nel fango.
Mentre fuori è giorno, mentre la vetrata canta
scolpiti nella
luce nuova i monti
e il lago raso rigato da un solo cigno.
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